L’art.23 del D.Lgs.81/08 (“Obblighi dei fabbricanti e dei fornitori”) prevede quanto segue:
“1. Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
2. In caso di locazione finanziaria di beni assoggettati a procedure di attestazione alla conformità, gli stessi debbono essere accompagnati, a cura del concedente, dalla relativa documentazione.”
Più in generale, gli articoli 590 e 589 del codice penale puniscono chiunque cagioni con colpa le lesioni o il decesso di una persona.
Come più volte ricordato, sotto il profilo degli elementi costitutivi di questi reati (segnatamente: di lesioni personali colpose e omicidio colposo), affinché essi ricorrano è necessario che “chiunque” causi uno di tali eventi con colpa e quindi con “negligenza o imprudenza o imperizia” (colpa generica) “ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” (colpa specifica).
Dunque il fornitore può essere responsabile di un infortunio sia per aver violato una norma specifica che poneva a suo carico un obbligo impeditivo dell’evento, causando così il medesimo, sia per aver determinato quest’ultimo comportandosi in maniera negligente, imprudente o imperita.
Vediamo – attraverso l’analisi della seguente selezione di sentenze, che come sempre non ha la pretesa di essere esaustiva – come questi principi siano stati applicati dalla giurisprudenza alle responsabilità del fornitore che, con le sue azioni od omissioni, abbia causato un infortunio.
Allorché nelle pronunce trattate ricorra la colpa specifica, si tenga presente che ovviamente le norme violate – cui si fa riferimento nelle sentenze e di cui è stata contestata agli imputati l’omissione (sotto il profilo degli obblighi in esse contenuti) – in virtù del principio di irretroattività della legge penale sono quelle che erano in vigore al tempo in cui si è verificato l’infortunio.
Responsabilità della fornitrice di una trave crollata per aver violato la “regola cautelare di diligenza che impone al fornitore di un prefabbricato di fornire le relative istruzioni sulla sua istallazione e montaggio”
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 26 settembre 2018 n.41901, la Corte ha confermato la condanna di M.A.T.C. che, “quale legale rappresentante della M. s.p.a., fornitrice della trave crollata, è stata condannata alla multa di euro 1.500,00 perché, in violazione dell’art.96, comma 1, lett.g), del d.lgs. n.81 del 2008 e degli artt.21 e 22, parte III della Circolare n.13 del 1982 del Ministero del Lavoro, a fronte della variante che aveva comportato modifiche al progetto iniziale, con l’adozione della trave T10, non forniva procedure di sicurezza da adottare nelle varie fasi di lavoro fino al completamento dell’opera, e non riportava tali procedure in un piano antinfortunistico integrativo del p.o.s., omettendo altresì di precisare che la trave T10, la cui parte finale era più larga delle altre, necessitasse di puntellatura, così cagionando lesioni ai lavoratori A.B. e G. P., dipendenti della I. Costruzioni s.r.l., i quali precipitavano nel vuoto all’esito del crollo della lastra aggiunta sulla trave T10, posizionata direttamente dalla costruttrice M. s.p.a., su cui lavoravano (18 ottobre 2012).”
Nel confermare la responsabilità penale dell’imputata, la Cassazione ha chiarito che tale responsabilità “deriva dalla violazione di una specifica regola cautelare di diligenza, esplicitata nell’art.21 della circolare del Ministero del Lavoro n.13 del 20 gennaio 1982 (richiamato nel capo di imputazione), ai sensi del quale il fornitore dei prefabbricati e la ditta di montaggio, ciascuno per i settori di loro specifica competenza, sono tenuti a formulare istruzioni scritte corredate da relativi disegni illustrativi circa le modalità di effettuazione delle varie operazioni e di impiego dei vari mezzi al fine della prevenzione degli infortuni.”
La Corte ha precisato che “tale regola cautelare è riferibile a tutti gli elementi prefabbricati (sia a quelli autoportanti sia a quelli non autoportanti), sicché risulta irrilevante l’affermazione di alcuni tecnici, evidenziata nella censura formulata (“tutti i tecnici … hanno dichiarato che nel caso di elementi autoportanti, il produttore degli stessi è obbligato a fornire all’utilizzatore un foglio di calcolo della loro portanza, cosicché nell’assenza di tale essenziale calcolo, per tutte le velette utilizzate nell’opera, l’autoportanza non può che essere esclusa”), da cui l’imputata pretenderebbe di far discendere l’inutilità e superfluità di una specifica informazione, da parte sua, circa la necessità della puntellatura riguardo la trave T10.”
Inoltre “la Corte di Appello, laddove si è soffermata sulla insufficienza delle motivazioni addotte da M. per giustificare la mancata consegna, unitamente alla trave in esame, della documentazione necessaria al suo posizionamento (“l’inosservanza delle procedure rispose a precise esigenze, legate alla tempistica, rappresentante da I. e assecondate dalla costruttrice M.”), ha confermato la violazione della regola cautelare di diligenza che impone al fornitore di un prefabbricato di fornire le relative istruzioni sulla sua istallazione e montaggio, non potendo fare affidamento sulla capacità o idoneità dell’acquirente di desumere tali informazioni dalla struttura e conformazione del bene.”
Il ricorso dell’imputata è stato così rigettato dalla Cassazione.
Condanna dei rappresentanti di una ditta fornitrice di un cassone ribaltabile per aver fornito un libretto di istruzioni “gravemente lacunoso” causando così il decesso di un autista e addetto allo scarico. Irrilevanti le istruzioni orali all’atto del ritiro del mezzo.
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 28 aprile 2017 n.20339, la Corte ha confermato la condanna di quattro soggetti (B.G. e B.GI. quali datori di lavoro dell’infortunato; G.S. e G.F. quali rappresentanti della ditta fornitrice) per il reato di omicidio colposo in danno di F.R., dipendente della ditta B. s.a.s. con mansioni di autista e addetto allo scarico dei mezzi di trasporto.
Il giorno dell’infortunio (nel 2007) la vittima, “dovendo scaricare dal cassone ribaltabile marca G., costruito e fornito dalla ditta G. spa, il carico di rottami ferrosi appena ricondotto in ditta, si accinse ad aprire il portellone posteriore, costituito da due ante incernierate e bloccate da un’asta verticale che unisce le cerniere con un sistema gancio/occhiello, allorché venne colpito all’emivolto destro dalla repentina rotazione verso l’esterno della leva orizzontale metallica che unendo le cerniere dei due portelloni permette il gioco dell’asta di bloccaggio.”
Più in particolare, la sentenza specifica che, “onde aprire il portellone, era necessario, in sequenza obbligata: togliere la spina di sicurezza posta sulla detta leva orizzontale; ruotare la leva sino a disimpegnare gli anelli di aggancio posti sull’asta verticale; azionare il pistone che tiene bloccata la porta sinistra, posto sul lato destro del rimorchio, così aprendo la porta sinistra, sovrapposta a quella destra.”
Tuttavia “la terza operazione non potè, però, nel caso in esame, avvenire, poiché inopinatamente la leva, ormai non più bloccata dalla spina di sicurezza, ruotò violentemente verso l’esterno e colpì al volto il F.R., che riportò le gravissime lesioni, meglio descritte in imputazione, che lo portarono al decesso. Nessun dubbio sussiste sul fatto che il decesso del F.R. sia stato conseguenza delle lesioni riportate nell’occorso.”
Come anticipato, la Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, confermando così le condanne.
Soffermandosi qui in particolare solo sulle posizioni di garanzia dei fornitori, la Corte ha precisato che “il libretto di istruzioni (da considerarsi parte integrante del macchinario, secondo quanto previsto dalla Direttiva macchine di cui al D.P.R.459/96 allora vigente) consegnato alla ditta B. dalla produttrice ditta G., era gravemente lacunoso, posto che esso non riportava alcuna indicazione in ordine alle corrette procedure di carico e scarico dei cassoni nonché in ordine alle modalità di sblocco dei meccanismi di sicurezza dei portelloni, tali da evitare la violenta apertura dei medesimi con “effetto molla”.”
La Cassazione ha così ricordato un importante principio giurisprudenziale, ovvero che “risponde del delitto di omicidio colposo in danno dell’utilizzatore il costruttore-venditore di una macchina priva dei presidi antinfortunistici previsti dalla legge (tra i quali il corretto libretto di istruzioni), pur se l’acquirente faccia uso della macchina ponendo in essere una condotta imprudente, condotta che, ove la macchina fosse stata munita dei presidi antinfortunistici richiesti dalla legge, sarebbe stata resa innocua o, quanto meno, non avrebbe avuto quelle date conseguenze, e, dunque, non può confidare che ogni consociato si comporti adottando le regole precauzionali che deve adottare chi, rispetto a quel consociato e alla imprudente inosservanza della regole da quest’ultimo posta in essere, non si comporta come gli imponevano le regole precauzionali normalmente riferibili al suo modello di agente (cfr. sez.4, n.41985 del 29/04/2003).”
E tutto “ciò vale anche per il costruttore-venditore di una macchina che non abbia posto in essere le condotte di prudenza, comune o specifica, richieste dalla legge, come l’esatta informazione dei rischi connessi all’uso di quella macchina, pur se l’infortunio si verifichi per un comportamento imprevedibile, abnorme, eccezionale, dell’acquirente della macchina, fatto salvo peraltro il concorso di colpa dell’acquirente stesso (cfr. sez.4, n.41985 del 29/04/2003, cit.).”
Dunque, nel caso specifico, è stata confermata la decisione della Corte d’Appello che ha fondato “la propria decisione sul compendio probatorio e sulle dichiarazioni del tecnico dello SPRESAL incaricato degli accertamenti, C.A., secondo la quale ciò che mancava nel libretto di istruzioni per renderlo conforme alla normativa in vigore era, tra l’altro, tutta la procedura di apertura del portellone posteriore e l’indicazione delle situazioni anormali prevedibili quali, ad esempio, il carico eccessivo.”
E’ molto interessante, infine, il passaggio in cui la sentenza sottolinea che, “quanto alle istruzioni orali fornite allo stesso F.R. allorché – proprio lui – si era recato, nell’anno 2002, a ritirare il mezzo presso la produttrice F.lli G. spa, secondo la Corte del merito «devono escludersi – come già correttamente osservato dal primo giudice – tanto l’esaustività delle stesse, quanto la loro idoneità a sostituire il regolare libretto d’uso….è fuor di dubbio che le iniziali delucidazioni fornite a chi si reca a prelevare il mezzo al più si affianchino, ma giammai possano sostituire, il regolare libretto d’uso. Le prime indicazioni, infatti, sono certamente utili, ma possono essere dimenticate, o travisate, o ricordate solo parzialmente, e possono essere incomplete o lacunose, ed è proprio ad ovviare a tali lacune che serve il libretto d’uso, che come già detto costituisce parte integrante ed essenziale della macchina e con la stessa deve essere consegnato. Se il libretto è gravemente insufficiente, non v’è modo di verificare se quanto appreso solo oralmente, e magari in modo incompleto o financo inesatto, sia conforme all’uso corretto».”
Responsabilità per lesioni colpose del fornitore di un trapano a colonna (risalente agli anni ’70) privo di idonei ripari e delle attestazioni di conformità previste dalla legge
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 5 agosto 2016 n.34463, la Corte ha confermato la sentenza con la quale G.T. (fornitore) era stato ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose gravi in danno di G.M.
In particolare, G.T. era stato condannato “quale legale rappresentante della s.r.l. S.C.M., quindi nella posizione di garanzia del fornitore (nell’anno 2001) di un trapano a colonna alla ditta Officina F. s.r.l. di Monfalcone, per colpa, imprudenza e per violazione di norme antinfortunistiche, fornendo il macchinario con carenze in punto di presidi antinfortunistici, segnatamente idonei ripari atti ad evitare il contatto anche accidentale delle mani o di altre parti del corpo con gli organi lavoratori in movimento, ed in violazione del divieto di porre in vendita o comunque in uso macchinari o attrezzature di lavoro non rispondenti alla legislazione vigente, trattandosi di utensile privo dell’attestazione di conformità prevista all’art.11, comma 1, d.P.R.24 luglio 1996, n.459”.
Il G.T. aveva dunque “concorso a cagionare in cooperazione colposa ex art.113 cod. pen. con i coimputati F.M., R. ed A., consiglieri di amministrazione e soci della Officine F. s.r.l. (condannati in primo grado e nei cui confronti la sentenza è passata in giudicato), l’infortunio occorso al dipendente delle Officine F. sig. G.M., il quale, essendo rimasto impigliato con la tuta nella parte rotante del macchinario in movimento, aveva subito le lesioni di cui all’editto.”
Dagli accertamenti di merito era emerso che “il trapano radiale a colonna in questione, di fabbricazione polacca e risalente agli anni ‘70, venduto dalla S.C.M. nell’anno 2001, era composto essenzialmente da tre parti: 1) un mandrino (o corpo); 2) un utensile (o punta); parti complessivamente costituenti un grosso trapano, ovviamente mobile; 3) e da un piano di lavoro sul quale dovevano essere collocati i pezzi da perforare, da bloccarsi con una morsa.”
Le sentenze di merito avevano evidenziato “come il macchinario, in quanto messo in funzione prima della direttiva macchine, avrebbe comunque dovuto rispettare il d.P.R. 27 aprile 1955, n.547, in particolare avrebbe dovuto avere l’organo lavoratore protetto in modo da impedire contatti accidentali con parti del corpo del lavoratore.”
Inoltre “i giudici di merito hanno escluso rilevanza: alla circostanza che il manuale di istruzioni fosse scritto in lingua francese, stimando non certo il nesso causale tra la violazione eventualmente ascrivibile, sotto tale profilo, all’imputato e l’evento dannoso, in considerazione dell’obbligo comunque incombente sul datore di lavoro di formare e di informare adeguatamente i dipendenti sui rischi; alla circostanza che l’impresa Officine F. realizzò, dopo l’acquisto, una modifica migliorativa, inserendo un pulsante di arresto di emergenza, sostanzialmente stimato non surrogatorio del riparo omesso, pulsante che purtroppo la parte lesa non riuscì ad azionare.”
La Cassazione ha così dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto “la surrogabilità del pannello con il pulsante di blocco, pur presente perché apposto dal datore di lavoro dopo l’acquisto, è rimasta incontestabilmente esclusa, per il solo fatto che il lavoratore non riuscì, risucchiato e quasi soffocato dal trapano di giganti dimensioni, a ricorrervi.”
Fonte: PUNTO SICURO