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25 Novembre 2022

IL RSPP: CAPRO ESPIATORIO CREDIBILE O CATALIZZATORE PER LA SSL?

Il nostro sistema prevenzionale, come noto a tutti gli addetti, è basato sulla sanzione penale con l’obiettivo reprimere un comportamento negligente, omissivo, ecc.. che ha portato ad una situazione di pericolo o, peggio, ha causato un grave infortunio. L’approccio seguito è quello centrato sulle mancanze e sugli errori degli individui; quindi, se si sbaglia, bisogna essere puniti tramite una sanzione penale.

Questo sistema presenta dei possibili vantaggi visto che è “comodo” e sostenibile con facilità in quanto:

nel nostro ordinamento penale, la responsabilità è personale (art. 27 della Costituzione);

i comportamenti pericolosi, a tutti i livelli dell’organizzazione aziendale, sono all’origine della maggioranza degli infortuni;

individuare il “colpevole” soddisfa le aspettative emotive di coloro che, a vario titolo, sono coinvolti nonché le esigenze della Collettività.

Va anche detto che, accanto ai vantaggi citati ci sono altrettanti svantaggi che, a differenza dei vantaggi, sono certi:

la ricerca del colpevole porta a tralasciare l’analisi delle organizzazioni aziendali, piccole, medie o grandi che siano, nella loro interezza;

la mancata analisi delle organizzazioni aziendali consente di mantenere alle stesse lo “status quo”, con la struttura, le regole ed il sistema di poteri esistente al momento dell’evento;

non si analizzano le decisioni strategiche delle posizioni apicali riguardanti la progettazione e l’organizzazione del lavoro e le tecnologie utilizzate.

 Il risultato certo è che non si interviene alla fonte del problema e non si rimuovono le cause primarie di quanto avvenuto.

Prima si parlava di un sistema che mira ad individuare “il colpevole” ma, forse, si dovrebbe parlare di un sistema che mira ad individuare un ruolo credibile da rappresentare, in quanto connesso all’evento avvenuto ma, contemporaneamente, posizionato nella gerarchia dell’organizzazione a distanza di sicurezza dalle posizioni apicali.

 Infatti, nelle organizzazioni aziendali, in caso di grave infortunio, in parallelo alle indagini dell’Autorità Giudiziaria, spesso si attiva un processo interno volto all’individuazione del soggetto che, per la posizione organizzativa e il ruolo rivestito, assolve alla funzione di soddisfare le aspettative e le pressioni che si generano in questi casi, non mettendo a rischio la stabilità del gruppo di potere dominante in quel momento.

Questa situazione emerge perché un grave infortunio sul lavoro avvenuto in azienda porta, come conseguenza, all’attenzione dei massmedia, alle discussioni sugli onnipresenti social e all’indignazione della pubblica opinione ed alla necessità di fornire una qualche forma di forma di “giustizia riparatrice”.

In queste situazioni, il gruppo di potere dominante, come strategia difensiva, tende a addossare ad uno o più soggetti la responsabilità di quanto avvenuto facendoli divenire dei veri e propri “capri espiatori”.

Ovviamente, non è che tale situazione si concretizza sistematicamente; infatti, in molti casi, questi soggetti individuati erano effettivamente in grado di garantire la salute e della sicurezza sul lavoro in quanto dotati dei poteri organizzativi, decisionali ed economici per perseguire il citato obiettivo.

Nelle organizzazioni, quando accade qualcosa di grave che può minare lo status quo del gruppo di potere dominante, le azioni per l’individuazione del capro espiatorio non si attivano subito in quanto si cerca inizialmente di “far passare” la tesi che rimandano le cause dell’evento ad una fatalità.

Quando questa non è sostenibile perché, in caso di gravissimi eventi, dimostrerebbe l’assenza di strategie efficaci per eliminare o ridurre al minimo i rischi, le organizzazioni ricorrono all’individuazione di una causa dell’evento non collegata a specifici ruoli al suo interno. Ecco, quindi, che si tende ad attribuire, ad esempio, alle procedure di sicurezza le cause dell’evento avvenuto, in quanto strumenti regolatori dell’interazione tra le diverse funzioni aziendali e, quindi, non addebitabili ad una di esse.

Nel caso in cui questa strategia difensiva non funzioni, in genere perché il gruppo di potere dominante è esposto a pressioni esterne in grado di condizionarne i processi decisionali, questo ricorre alla creazione del capro espiatorio.

Su queste dinamiche socio-organizzative, i sociologi si erano già espressi negli anni ‘60 e ’70  fino ad arrivare a recenti contributi sull’argomento.

Per questi studiosi, un capro espiatorio per essere credibile deve svolgere un ruolo che sia direttamente connesso all’evento verificatosi ma, nello stesso tempo, posizionato nella gerarchia dell’organizzazione a distanza di sicurezza dalle posizioni apicali.

Guardando alle attuali strutture gerarchiche delle organizzazioni, per quanto riguarda la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, appare chiaro che il ruolo del RSPP soddisfa entrambi i requisiti in quanto è direttamente connesso all’evento infortunistico verificatosi perché presidia le specifiche attività di prevenzione e protezione dai rischi ed è posizionato, nella gerarchia aziendale, a distanza sufficiente dai ruoli apicali.

Anche se l’art. 2, comma 1 lettera f) del D. Lgs. n° 81/2008 richiede che il RSPP risponda al datore di lavoro così come definito all’art. 2, comma 1, lettera b) del citato decreto, il termine usato dal legislatore lascia ampi margini all’interpretazione aziendale in quanto, tutti coloro che sono dipendenti di un’azienda …… rispondono, più o meno direttamente, al datore di lavoro. A parte ciò, il problema ricorrente è che, in gran parte dei casi, il RSPP non riferisce gerarchicamente mai direttamente al “numero 1” dell’azienda o dell’unità produttiva (colui che riveste le funzioni di “datore di lavoro”) ma ad altri soggetti da cui dipende, risultando così obbligato a passare attraverso uno o più livelli gerarchici. Se da una parte ciò soddisfa uno dei citati requisiti per tutelare le figure apicali nel gioco del capro espiatorio, dall’altra, nella gestione dell’attività, i RSPP si trovano questi soggetti, alle cui dipendenze gerarchiche sono collocati, che tendono a percepire i problemi relativi alla sicurezza e salute sulla base delle proprie conoscenze esperenziali, quasi sempre maturate in settori ben diversi dalla sicurezza sul lavoro, ed a presentarlo  ai detentori del potere decisionale, in modo spesso distorto alterando così la natura/essenza del problema stesso.

Un altro problema ricorrente è la collocazione del RSPP all’interno di funzioni di linea (produzione/operations, ecc.). In questo caso, non è necessario essere degli esperti d’organizzazione per comprendere che questa collocazione non è certo delle migliori per una funzione palesemente di staff ed il cui apporto è trasversale a tutte le altre funzioni dell’azienda.

Infatti, nell’espletamento delle attività prevenzionali, i RSPP incontrano difficoltà:

  • a causa della dipendenza gerarchica dalla funzione produzione che rende difficili i rapporti con i colleghi della stessa funzione avendo questi obiettivi palesemente differenti e non ottimizzati con quelli della funzione sicurezza e salute;
  • nei processi di comunicazione e di promozione delle attività prevenzionali, proprio a causa della loro collocazione in una funzione di linea, il che fa percepire al resto dell’azienda una qualunque iniziativa prevenzionale come un qualcosa di circoscritto alla funzione stessa.

Questo posizionamento nell’organizzazione, inoltre, fa perdere visibilità alla funzione trasmettendo, nello stesso tempo, un messaggio molto chiaro al resto dell’azienda: la funzione sicurezza e salute ed il suo operato riguardano solo la produzione e non sono ritenuti realmente strategici per il resto dell’azienda.

In questa situazione l’azienda corre un grave rischio; infatti, il mancato coinvolgimento della funzione sicurezza e salute nei processi strategici e decisionali, può portare a prendere delle decisioni che non hanno tenuto conto di tutte le variabili e dei vincoli esistenti e con il più che probabile rischio di provocare, poi, un pesante impatto negativo sul business aziendale.

Ancora oggi, il RSPP è ancora visto come colui che deve controllare con continuità che le norme e le regole in materia di sicurezza sul lavoro siano pienamente applicate censurando i comportamenti non in linea con queste.

Tra le aspettative di molte aziende, frutto della distorta visione della funzione sicurezza e salute, vi è anche quella di vedere i soggetti della stessa occuparsi di tutte quelle questioni collegate, anche se molto ma molto alla lontana, con la sicurezza sul lavoro.

Ad esempio, facendo riferimento agli obblighi imposti dall’art. 26 del D. Lgs. n° 81/2008 in tema d’appalti, dovendo l’azienda verificare l’idoneità tecnico-professionale d’imprese e lavoratori autonomi e fornire le informazioni sui rischi specifici presenti nell’ambiente di lavoro e le relative misure di prevenzione e protezione adottate insieme all’assolvimento di una serie di obblighi cogenti per permettere l’accesso, in alcune aziende si vede trasferito alla funzione sicurezza e salute ed al RSPP, la responsabilità del controllo puntuale di tutti coloro che si presentano all’entrata dell’azienda con il risultato di vedere convergere giornalmente sul telefono del RSPP un considerevole numero di chiamate dalla portineria per richiedere l’autorizzazione all’ingresso per una categoria di soggetti che andavano dal fornitore di alimenti per la mensa aziendale gestita da un’azienda di ristorazione al parroco accompagnato dai chierichetti per la benedizione pasquale.

Le aziende di medio-grandi dimensioni utilizzano da molti anni sistemi di valutazione delle prestazioni individuali mediante la definizione di obiettivi quantificabili. In questi anni è sempre emerso lo stesso problema: ai RSPP vengono assegnati degli obiettivi quantitativi (tipico è l’obiettivo di riduzione dell’indice di frequenza degli infortuni), con un peso superiore a quello assegnato, ad esempio, al responsabile dell’unità produttiva in cui un RSPP opera. Per dirla in numeri, al RSPP è fissato, ad esempio, un obiettivo di riduzione del 10% dell’indice di frequenza, rispetto il precedente anno, con un peso del 25% sul totale degli obiettivi (in genere 4 o 5) che gli vengono assegnati annualmente mentre al responsabile dell’unità produttiva, da cui spesso dipende gerarchicamente lo stesso RSPP, questo obiettivo viene assegnato con un

peso trascurabile (5%) o addirittura inesistente.

Naturalmente, questi obiettivi, come avviene in una qualunque azienda che adotta questi sistemi di valutazione delle prestazioni, sono trasmessi a cascata e con “pesi” diversi, verso la struttura gerarchica sottostante.

È facile comprendere, in situazioni come queste, quale sia il messaggio che viene recepito dal personale dell’azienda: la sicurezza sul lavoro è un problema solo della funzione sicurezza e salute e del suo responsabile.

Riguardo gli aspetti relazionali che devono caratterizzare il ruolo del RSPP, è estremamente importante che chi svolge tali mansioni debba possedere adeguate capacità di trattare con i colleghi visto che questi, mediamente, risultano poco interessati ad affrontare tematiche da loro percepite come di esclusiva pertinenza della funzione sicurezza e salute.

Preso atto che gli obiettivi delle altre funzioni erano, sono e saranno sempre diversi da quelli della funzione sicurezza e salute, chi si occupa di questa all’interno di un’azienda non può che puntare ad influenzare le decisioni ed i comportamenti dei soggetti operanti all’interno delle prime.

Se in passato il ruolo di chi si occupava di sicurezza sul lavoro doveva essere supportato solo da profonde competenze normative e tecniche, oggi accanto a queste, devono coesistere anche adeguate competenze manageriali con particolare riguardo a quelle relazionali.

Altro aspetto importante è quello relativo a come il RSPP venga percepito dalle altre funzioni aziendali. All’entrata in vigore del D. Lgs. n° 626/1994 che, in qualche modo, aveva legittimato i ruoli di coloro che si occupavano di sicurezza e salute, prima denominati “addetti alla sicurezza”, attribuendogli le funzioni di addetti e responsabili del servizio prevenzione (ASPP – RSPP), molte aziende sprovviste di risorse interne dedicate alla funzione ma costrette dalla nuova legge a ricorrere obbligatoriamente ad un dipendente, si erano indirizzate verso soggetti che, per qualche motivo, erano ritenuti non utilizzabili in altre funzioni oppure erano vicini all’età pensionabile.

Insomma, il criterio di scelta non era stato, obiettivamente, lo stesso usato per individuare un qualche altro soggetto destinato a ricoprire una funzione ritenuta se non strategica almeno importante per l’azienda.

Con il passare degli anni, queste stesse aziende si erano progressivamente accorte che il profilo professionale necessario per ricoprire questo ruolo doveva rispondere a determinati requisiti quali una forte personalità, la capacità di gestire situazioni di sviluppo ma anche di cambiamento; doveva, inoltre, essere persona operativa, dinamica e concreta con una buona capacità di relazione in modo da confrontarsi proficuamente con il personale delle altre funzioni. Pertanto, le aziende avevano cominciato a modificare i criteri di selezione interna ed esterna di coloro che dovevano occuparsi di sicurezza e tutela della salute all’interno dell’azienda.

Nonostante questa lenta presa di coscienza da parte delle aziende, i retaggi derivanti da una diffusa carente cultura della sicurezza continuano a permanere e si traducono in atteggiamenti nei confronti di chi si occupa di sicurezza e salute, alquanto censurabili:

  • << Chi si occupa di sicurezza sul lavoro è solo un costo imposto dalle norme di legge e non produce valore aggiunto>>,
  • <<Sono solo predicatori nel deserto>>,
  •  <<Guai a coinvolgerli in un qualche progetto ….. perché creerebbero un mucchio di difficoltà ritardando il progetto stesso>>,
  • <<Scrivono procedure di sicurezza inapplicabili, visto che le cose devono funzionare diversamente per produrre>>,
  • <<Quando ti avvertono che c’è un rischio nel lavorare in un certo modo …. subito dopo si fa male qualcuno …… quindi sono veramente degli iettatori>>.

Tutto ciò rende l’idea di quanta strada ci sia ancora da percorrere per un reale cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti nei riguardi della sicurezza e salute.

Oggi, si può ritenere che le funzioni di chi si occupa di sicurezza e salute nelle aziende, debbano essere di tipo consultivo/propositivo e ciò perché si è impossibilitati, dall’inesistenza di un rapporto gerarchico con il personale di linea, dall’emanare direttive (ordini diretti, ecc.) che incidano immediatamente sull’operato dello stesso. Il legislatore, pertanto, ha riservato un potere/dovere diverso ma non per questo meno impattante sia sull’attività d’impresa in generale che sulle responsabilità del RSPP visto che questa figura, come detto prima, è chiamata a rispondere per colpa professionale sia per infortuni sul lavoro che per malattie professionali, con il rischio di condanne che spaziano tra le lesioni colpose gravi e l’omicidio colposo.

L’operato del RSPP, come detto prima, è di tipo consultivo/propositivo, né più e né meno di altre funzioni di staff tipiche delle aziende come la funzione legale, personale, ecc. ma con la differenza di rischiare in proprio, in quanto le responsabilità penali, nell’ordinamento giuridico nazionale, sono sempre e solo personali. L’operato del RSPP, pertanto, si indirizza verso l’analisi, valutazione e definizione di tutte quelle azioni necessarie per mantenere adeguati standard di sicurezza e di tutela della salute per il personale dell’azienda, tutelandone, così, anche l’immagine e la reputazione. Tutto ciò dovrebbe portare a definire degli investimenti con i vari responsabili di funzione ed alla successiva predisposizione del relativo budget. In altre parole, anche se un RSPP non gestisce direttamente un budget, se non per alcune particolari voci (consulenze, analisi, ecc.), è anche l’attività del RSPP che ne fa nascere il bisogno sulla base di necessità oggettive rilevate.

Oggi, in molte aziende non si riesce ancora a capire che, chi si occupa di sicurezza e tutela della salute ha, insieme al datore di lavoro ed ai dirigenti responsabili delle varie funzioni, la responsabilità della sicurezza e salute dei dipendenti con tutte le relative incombenze; quindi, per questa posizione al fine di attribuirgli un inquadramento e la relativa retribuzione, non si può ragionare come si ragiona per qualunque altra posizione dove si contano il numero di persone che da questa dipendono gerarchicamente e il budget che gestisce direttamente. Non è un bell’esempio quello del RSPP, che pur essendo un riporto diretto del direttore di stabilimento come i responsabili della produzione, della manutenzione, ecc., abbia però un inquadramento inferiore a questi. Inquadramento e retribuzione devono essere definiti né più e né meno di come vengono definiti per tutte le altre funzioni di staff ma tenendo conto che il livello di esposizione, in caso di reati di natura colposa, è nettamente superiore non solo rispetto ai primi ma anche nei confronti di dirigenti e preposti che, ovviamente, non possono che rispondere limitatamente agli eventi avvenuti nella funzione/reparto di loro competenza.

Risulta, quindi, palese in caso d’evento l’esposizione del RSPP in termini di responsabilità civili e penali e ciò al di là delle dinamiche di colpevolizzazione volte all’individuazione di un capro espiatorio. Infatti, pur non essendo presenti all’interno del D. Lgs. n° 81/2008, specifiche sanzioni a carico del RSPP per l’inosservanza della normativa prevenzionale, questa figura può essere chiamata a rispondere penalmente per reati colposi d’evento previsti dagli articoli 589 e 590 del Codice penale (omicidio colposo e lesioni colpose) e civilmente per mancata diligenza ai sensi dell’art. 1176 del codice civile.

Già con il D. Lgs. n° 195/2003, che aveva introdotto una serie di requisiti minimi (come era giusto che fosse) per ricoprire la funzione, il RSPP era divenuta una figura più esposta ai profili di colpa professionale. È innegabile che da allora la giurisprudenza ha cominciato a considerare il RSPP come un soggetto a cui attribuire parte della colpa in caso di reati colposi d’evento.

Oggi, in caso di reato colposo d’evento, gli enti di vigilanza tendono a coinvolgere quasi sempre il RSPP, in quanto soggetto considerato professionalmente competente e, quindi, in grado di espletare compiutamente i propri compiti con particolare riguardo all’individuazione e valutazione di tutti i rischi professionali presenti nell’ambiente di lavoro.

Ciò porta l’ente di vigilanza a vedere la figura del RSPP non come colui i cui compiti erano (e sono), in estrema sintesi, di tipo consulenziale ma come un vero e proprio garante della sicurezza in azienda. Il risultato era che, nel procedimento giudiziario, il RSPP si trovava ad essere il principale bersaglio dell’azione giudiziaria ed a dover dimostrare di aver assolto i propri compiti individuando e valutando i rischi e suggerendo al datore di lavoro le misure per tutelare la sicurezza e la salute del personale.

Del resto, come già accennato a proposito del capro espiatorio, il RSPP occupa un ruolo funzionalmente connesso all’evento e quasi sempre posizionato nella struttura organizzativa a distanza di sicurezza dal vertice aziendale.

Questo fa sì che per convenzione, la responsabilità di quanto avvenuto ricada anche sul RSPP a prescindere sia dalle risorse disponibili sia dai poteri effettivamente attribuitigli.

Naturalmente, questa situazione, innesca una serie di conflitti interni, spesso insanabili, perché il dare evidenza, da parte del RSPP, dell’assolvimento dei propri compiti agli inquirenti, da una parte alleggerisce la propria posizione ma dall’altra appesantisce la posizione di altri soggetti o, addirittura, provoca il coinvolgimento di figure che, inizialmente, non sono state coinvolte nel procedimento giudiziario a causa di indagini non approfondite.

In conclusione, quanto esposto precedentemente se da una parte rimanda ad un quadro ancora fosco della situazione, dall’altra inizia fa intravedere qualcosa in più di uno spiraglio di luce. Coloro che si occupano di sicurezza sul lavoro nelle aziende, stanno sempre più acquisendo una nuova percezione e consapevolezza del proprio ruolo, non più limitato a quello di detentore del sapere tecnico-normativo specifico ma rivolto invece verso un nuovo ruolo da facilitatore del cambiamento con l’obiettivo di:

  • ampliare la percezione delle organizzazioni aziendali in modo far loro comprendere le effettive dimensioni del problema sicurezza sul lavoro e il loro impatto sulle attività aziendali;
  • non sostituirsi alle altre funzioni aziendali nella definizione degli obiettivi prevenzionali lasciando a loro l’individuazione degli stessi;
  • non sostituirsi alle altre funzioni aziendali nella risoluzione degli specifici problemi ma aiutarle a mobilitare le competenze che esse hanno per la risoluzione dei problemi stessi;
  • operare con pazienza e costanza al fine di costruire una serie di rapporti interfunzionali in grado di acquisire il maggior numero di informazioni pertinenti necessarie per rendere sempre più affidabili i processi decisionali.

 Non resta che pazientare ed aspettare che questo processo di cambiamento faccia il suo corso sperando anche nell’aiuto del legislatore che, con opportune scelte normative, rafforzi maggiormente il ruolo del RSPP in modo che esso non possa essere visto come il soggetto da utilizzare quando vi è necessità di trovare un capro espiatorio.

Fonte: PUNTOSICURO