Welfare aziendale al posto delle indennità obsolete? Sì, ma il Fisco non fa sconti
Con la risposta n. 195 del 30 luglio 2025, l’Agenzia delle Entrate interviene su un tema di crescente interesse per le aziende: la conversione di indennità obsolete in credito welfare aziendale, chiarendo che queste somme restano imponibili ai fini fiscali, anche se erogate sotto forma di benefit.
⚙️ Il contesto contrattuale: soppressione e conversione
Nel caso oggetto del parere, un’azienda – in applicazione del contratto collettivo nazionale – ha soppresso tre specifiche indennità ritenute ormai superate, prevedendo che i lavoratori potessero scegliere tra:
- un assegno “ad personam” in cifra fissa pari al 100% della media quinquennale delle indennità percepite (12 mensilità annue, non rivalutabili né riassorbibili);
- oppure la conversione dell’importo in credito welfare, in misura maggiorata (105% o 110% della media, a seconda dell’indennità).
In mancanza di scelta esplicita, l’importo viene automaticamente erogato in forma monetaria.
🧾 Il dubbio fiscale: si applica l’esenzione dell’art. 51, TUIR?
La società, in qualità di sostituto d’imposta, ha chiesto se tali somme – convertite in welfare aziendale su base volontaria e con accordo sindacale – possano beneficiare dell’esclusione dal reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 51, commi 2 e 3 del TUIR.
L’Agenzia risponde negativamente, richiamando il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente (comma 1 del medesimo articolo): tutto ciò che rappresenta compenso per il lavoro, a prescindere dalla forma, è soggetto a tassazione, salvo specifiche eccezioni.
❌ Quando l’esenzione non si applica
Secondo la prassi amministrativa (es. Risoluzione 55/E/2020), le erogazioni in natura sono escluse dal reddito solo quando:
- non sostituiscono retribuzioni già previste o spettanti;
- non sono oggetto di scelta individuale tra denaro e benefit;
- rispondono a una finalità sociale, coerente con l’elenco tassativo dell’art. 51, commi 2 e 3 TUIR (es. servizi di istruzione, trasporti, assistenza sanitaria, ecc.).
Nel caso analizzato, mancano tutti e tre questi elementi:
- il credito welfare sostituisce indennità precedentemente previste dal contratto collettivo;
- la conversione è frutto di una libera opzione del lavoratore;
- non emerge una finalità sociale generalizzata, ma una strategia di fidelizzazione aziendale.
🎯 Niente equiparazione con i premi di risultato
L’Agenzia chiarisce che non si applicano nemmeno le agevolazioni previste per i premi di risultato (Legge 208/2015, commi 182-184), in quanto:
- non si tratta di importi variabili legati a incrementi di produttività, redditività o efficienza, come richiesto dalla norma;
- non vi è un collegamento con indicatori misurabili e verificabili;
- l’accordo sindacale non rientra nella contrattazione di secondo livello finalizzata ai premi agevolabili.
📌 Conclusione operativa
La conversione di vecchie voci retributive in strumenti di welfare può avere finalità organizzative o motivazionali legittime, ma non determina automaticamente un vantaggio fiscale. In assenza dei requisiti richiesti:
- l’importo – anche se erogato in forma di benefit – concorre al reddito da lavoro dipendente;
- si applicano le regole ordinarie di tassazione e contribuzione;
- il datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, deve trattare fiscalmente i benefit come retribuzione in natura.
📣 Il nostro consiglio
Prima di introdurre modifiche retributive o piani di welfare “in sostituzione” di indennità o premi preesistenti, è importante:
✅ Verificare l’inquadramento normativo e fiscale dei benefit;
✅ Analizzare la natura delle somme oggetto di conversione;
✅ Strutturare accordi sindacali che siano coerenti con le previsioni del TUIR e, se applicabili, con le norme sui premi di risultato detassabili.
In materia di welfare aziendale, ogni realtà ha bisogno di un abito su misura: ciò che sembra un benefit elegante, non sempre lo è anche per il Fisco. Meglio verificare taglio e cuciture prima di uscire con il vestito sbagliato.
Fonte: edotto.com